Spina Santa

Il beneventano Alberto da Morra (Benevento 1100- Pisa 1187), che ascese al soglio pontificio con il nome di Gregorio VIII, bandì la terza crociata contro i musulmani, alloscopo di liberare il Santo Sepolcro, dopo che il temibile Saladino aveva riconquistato Gerusalemme. Dopo la morte di Gregorio VIII la crociata fu portata avanti da Papa Clemente III.
Ogni Signore cristiano, proporzionalmente alla sua ricchezza, era tenuto a contribuire alla formazione dell’esercito di Dio e Guglielmo II di Sanframondo, Conte di Cerreto, Limata, Guardia, Faicchio, San Lorenzo, Massa, Cusano e Pietraroja fornì al Pontefice cinque cavalieri armati (l’equivalente, in una guerra moderna, di cinque pezzi di artiglieria pesante) oltre a partecipare in prima persona mettendosi alla testa di quel drappello.
Alla Guerra Santa parteciparono anche tanti devoti e credenti che, con la promessa di avere l’indulgenza plenaria e di avere assicurato un posto in Paradiso, pur non avendo una propria armatura e un proprio cavallo, seguirono la spedizione al motto “Dio lo vuole”. E’ provato che dalle terre dei Sanframondo, in particolare da Cusano e Cerreto, nel 1190 partirono per la Terra Santa molti crociati. E qui comincia la leggenda. Tra i tanti soldati crociati che intrapresero il lungo e pericoloso viaggio per liberare Gerusalemme, vi era anche il giovane Barbato Castello da Cusano. Barbato partì dal suo paese con l’aperta speranza che, grazie alle sue gesta in Terrasanta, avrebbe conquistato un posto nel regno dei Cieli. Nel frattempo, in quelle terre, riuscì a conquistare il cuore di una fanciulla. Barbato si innamorò, ricambiato, della figlia del custode del Tempio di Gerusalemme dove era conservata la corona di spine che cinse la testa del Cristo sulla croce. Quando il crociato, che nel frattempo si era unito ai Cavalieri Templari (l’ordine dei famosi monaci- guerrieri nato con l’intento di proteggere i pellegrini in Terrasanta) dovette fare ritorno in patria, la ragazza gli donò, come pegno d’amore, tre delle spine che cinsero il capo di Cristo che lui nascose tra le pieghe della mano. Qualcuno dice che la ragazza gli raccomandò di nasconderle tra i capelli per evitare i controlli. Il ritorno a casa di Barbato fu una vera odissea perché, invece di sbarcare in Puglia e di lì, attraverso l’antico tratturo della transumanza, giungere rapidamente a Cusano, fece il cammino inverso del viaggio d’andata e sbarcò nella lontana Venezia. Appena giunto nella città dei Dogi fu accolto da un primo prodigio: le campane della città
cominciarono a suonare a distesa senza intervento di mano umana. Lo scalpore della cosa attirò le attenzioni delle autorità che, venuti a sapere del prezioso carico che egli trasportava, pretesero che lasciasse in dono alla città una delle tre sacre reliquie. Lo stesso avvenne a Roma dove, al suo ingresso in città, le campane presero a suonare senza apparente motivo. Anche in questo caso gli incaricati del Papa costrinsero il cavaliere a lasciare sul posto una seconda spina. Barbato voleva a tutti i costi portare al suo paese natio almeno una di quelle sacre reliquie affinché potesse proteggere i suoi compaesani da catastrofi, epidemie e siccità, e anche perché, nel contempo, il suo nome restasse impresso per sempre nella loro memoria. Proseguì il suo cammino verso Cusano, questa volta per strade interne, attraverso i monti, per evitare altri spiacevoli incontri.
Giunto all’altezza di Cusano, precisamente in località Filette, il Templare che ancora era abbigliato da Crociato, venne affrontato da un gruppo di uomini armati che lo attaccarono, facendolo cadere insieme al suo cavallo nella forra di Caccaviola, un dirupo alto più di 100 metri. Questi atterrò in piedi sulla roccia sottostante dove rimasero impresse le impronte del suo cavallo e ne uscì miracolosamente illeso. Quel luogo da allora è ancora conosciuto
come “Zompo di Barbato”. Barbato continuò il cammino verso il paese, ma nei pressi del Santuario di Santa Maria del Castagneto, centro monastico dei benedettini di San Vincenzo al Volturno, le campane cominciarono a suonare a festa per alcuni minuti, come era accaduto a Venezia e a Roma. In quell’istante capì che doveva assolutamente affidare la Spina Santa ai monaci del santuario della periferia cittadina. E così fece. S. Maria del Castagneto, fu fondata da Teodorata nel 747 e, dopo la chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, era la più antica del paese.
Barbato consegnò la Spina riposta in una modesta custodia di cuoio dove, da una parte era incisa la figura di un pellegrino con un bastone e una campanella e dall’altra, racchiusa in un cerchio, una T scritta in greco, una tau, che per i primi cristiani era il simbolo d Cristo. Quest’ultima incisione fu ripresa, poi, dai Cavalieri Templari per farne il loro emblema. Fin qui il tradizionale racconto.
Monsignor Savino, in occasione della Santa visita del 1596, depose la Spina Santa in una finestrella vicino all’altare Maggiore. Il 27 giugno 1686 in occasione della santa visita di Monsignor De Bellis, il Vicario Giuseppe Imperatrice, di Tricarico, la fece deporre nell’attuale reliquiario per poterla esporre alla pubblica venerazione e per consegnarla ai posteri. Il 3 febbraio 1710, in occasione della festività del Glorioso S. Onofrio, fu portato in processione anche il Reliquiario della Spina Santa, e, in corrispondenza della Porta Petrao (prima ancora detta Porta del Drago, ovvero l’archivolto della strada che da piazza Orticelli porta a piazza Roma), si vide detta Spina illuminata come a Lume di candela mentre si stava recitando l’Ave Maria e la stessa cosa successe quando furono arrivati davanti alla porta della Chiesa di S. Giovanni Battista, sempre durante la recita dell’Ave Maria. Nell’atto notarile del 3 agosto 1805 è riportato che il 26 luglio dello stesso anno un terribile terremoto, che si protrasse fino al 3 di agosto, devastò tanti paesi e procurò tante perdite umane.
I cusanesi fecero ricorso alla «Spina Santa» che, unitamente ad altro ostensorio contenente la reliquia del legno della Santa Croce e alla statua della Vergine Addolorata, fu portata in processione di penitenza sul Monte Calvario.
Sul Calvario il sacerdote don Michele Valente fece la benedizione con la «Spina Santa» e, mentre il Clero e il Popolo si avviavano per ritornare in paese, più persone guardando la detta Santa Spina notarono che la sua Punta era divenuta bianca. Subito gridarono al miracolo; accorsi anche i Sacerdoti, con massimo stupore videro il prodigio. Questo bianco non si fermò nella sola Punta della Santa Spina, ma più volte ha girato intorno al suo stelo formando una striscia bianca; inoltre, essa è cresciuta rispetto alla sua solita grandezza e ha sporto nella punta un occhiello bianco, come se avesse voluto aprirsi, per far fiorire una gemma, appunto come si osserva in primavera nel “fiorir delle Spine”. Successivamente sembrò rompersi nella punta, per poi acuminarsi, in maniera da sembrare che volesse uscirne un tenero germoglio, poi ritornò nel suo primitivo stato. Fra tutti i presenti, però, vi fu una persona che, pur osservando il descritto Miracolo, dubitò dell’accaduto. Pensò che quei cambiamenti della Spina potevano essere effetto dei raggi del sole, i quali, attraversando i cristalli dell’ostensorio, offrivano all’occhio l’impressione di quelle mutazioni. Ma tale dubbio subito svanì, poiché schermando i Raggi del Sole, il prodigio seguitò. I Sacerdoti dichiararono, quindi, che loro stessi e tutta la popolazione presente di Cusano avevano constatato il suddetto miracolo. Quella mattina stessa, con la medesima Processione di Penitenza calati dal citato Monte Calvario, giunti davanti la Cappella di S. Vito, sita nel luogo chiamato Campitello, Don Michele di nuovo ha impartito la Benedizionecon la detta Santa  Spina, la quale replicò il prodigio. Per la memoria di quei prodigi e per la liberazione ottenuta dal Signore dal flagello del terremoto, il popolo di Cusano ha fatto
le seguenti Promesse:
• Il giorno Due Agosto di ogni anno si dovrà fare un digiuno generale.
• Annualmente ogni tre Agosto si dovrà portare la Spina Santa, insieme con il Legno
della Santa Croce e la Statua di Maria Vergine Addolorata in processione di
penitenza al Monte Calvario, con l’intervento del Clero e del popolo.
• Alla processione del 3 di agosto dovranno precedere otto giorni di Preghiere nella
Chiesa dedicata a S. Niccolò Vescovo di Mira. Nel corso degli otto giorni tutti i
Cittadini si dovranno confessare e comunicare. La processione dovrà uscire dalla Chiesa Arcipretale di S. Giovanni Battista, dove è conservata la Santa Spina.
• Tutto il Clero di Cusano annualmente il giorno Tre Agosto dovrà far celebrare una
Messa Solenne nella Cappella sita su Monte Calvario.
• A spese del Popolo di Cusano, contribuendo ognuno quello che potrà, dovrà essere ristrutturata la Cappella sita sul Monte Calvario in parte rovinata dal terremoto. Con il ritiro degli abitanti dei «casali» (contrade) e il conseguente ampliamento del paese, le chiese di S. Nicola e S. Giovanni Battista si trovarono ricomprese nel centro urbano e divennero  parrocchiali Con l’annessione della Cappella di S. Salvatore, la Chiesa di S. Giovanni Battista divenne Arcipretale; forse per questo, pur essendo la chiesa di Santa Maria del Castagneto annessa a quella di San Nicolò, donò la «Spina Santa» a quella di San Giovanni. Attualmente la Spina Santa è custodita nella chiesa di San Giovanni Battista a destra
dell’altare maggiore, in una cappella detta della «Spina Santa», dal nome della reliquia che contiene. Il reliquiario contenente la Spina Santa ha la forma di un ostensorio barocco, è di argento massiccio cesellato, scomponibile in due pezzi.
La teca centrale è ornata da quattro piccole teche munite di cristallo e disposte a croce
nelle quali furono disposte le seguenti reliquie: superiormente quella di S. Giovanni Battista, inferiormente quella di S. Pietro, ai lati quelle di S. Stefano figlio del Re di Persia e di S. Biagio Vescovo e Martire. Nella teca centrale, in basso, vi è saldato un cannello di ottone del diametro di circa 1 cm. lungo circa 4 cm. Da questo fuoriesce una spina per circa cm. 1,5. È infissa nel cannello per circa cm. 1, il livello di fondo è segnato da un taglio orizzontale. Intorno a questo cannello è legato a 2 giri un filo di canapa consunto dal tempo nel quale è infilato una piccola ametista (in passato questa varietà di quarzo violetto era ritenuto rimedio contro l’ubriachezza).
È evidente che il cannello con la Spina fa parte del precedente reliquiario, conservato con il relativo astuccio. Esso ha la forma di pisside, è di ottone antico, ruvidamente lavorato. L’astuccio è dotato di ganci per il passaggio di una fettuccia, ed è di cuoio finemente istoriato.
Il colorito della Spina è quello naturale di legno invecchiato, è omogeneo, ad eccezione della parte centrale posteriore, fuoriuscente dal cannello, che è meno lucente, quasi patinoso, il che lascia legittimamente pensare ad una traccia di sangue; la punta della Spina è smussata e presenta una piccola erosione.
Quella di Cusano, comunque, non è l’unica spina sacra presente in Italia. La tradizione popolare, suffragata da testimonianze documentate dell’epoca, riferisce di vari miracoli e prodigi attribuiti al frammento sacro di Cusano, oltre ad attestare di aver
protetto, da allora, in più di un’occasione la comunità alle falde del Matese. In virtù del voto fatto dal popolo in antico tempo, in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo, ancora si svolge una solenne processione di penitenza, con folta
presenza di fedeli, il 3 di agosto di ogni anno.

Bibliografia e sitografia:
1. Vito Antonio Maturo- la Spina Santa di Cusano Mutri- 1978
2. Antonello Santagata, Storia del crociato Barbato Castello e della Spina Santa di Cusano Mutri, su
www.vivitelese.it
3. Donatello Camilli- Il profumo di Arepo – La Spina Santa di Cusano Mutri e il crociato Barbato-Ed. Art 2013
4. Barbara Serafini, Immagini dal Sannio: la Santa Spina di Cusano Mutri e l’invocazione nei periodi di
calamità, su www.fremondoweb, 2023
Team di progetto “Qusano Rivelata”:
Franco Lucia, Franco Laura, Gallinella Angela, Iamartino Antonella, volontari di Servizio Civile Universale progetti
“Biblioteca per tutti 2024” e “MediaLab 2024”.

 

 

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